“Il padre l’assente inaccettabile” – Incontro con Claudio Risè

“Il padre l’assente inaccettabile”

Incontro con Claudio Risè
(psicoanalista che vive ed opera a Bolzano)
Sala Duomo (Carpi) 12 Maggio 2004

Nella società e nella cultura occidentale è ormai un dato di fatto affermare, che da tre generazioni, che i nostri figli non percepiscono più la presenza del padre. Ci troviamo, quindi, in un contesto storico sociale dove a causa di questa assenza del padre i giovani sono smarriti e vivono un profondo malessere interiore, che li porta ad essere persone meno libere di affermare la loro identità di uomini adulti, capaci di assumersi le loro responsabilità.
L’assenza del padre è venuta meno nel corso di un evoluzione storico sociale , che ha avuto il suo inizio con la rivoluzione industriale. Con essa è iniziato un processo di radicale cambiamento nel modello familiare fondato sulla figura del padre patriarcale, spostandoci sempre di più su un modello di famiglia dove il ruolo della madre diventava sempre più centrale e totalizzante.
Questo nuovo modello di famiglia matriarcale si è successivamente affermato con la prima e la seconda guerra mondiale, che ha lasciato orfani di padre migliaia di bambini. Infine si è legittimato in tutti gli Stati Europei con la nascita della legge sul divorzio, che ha definitivamente inciso e corroso il tradizionale modello di famiglia strutturato sulla figura paterna.
Dentro questo nuovo contesto sociale la figura del padre è stata prima espulsa come creatore, cioè colui che per primo dà ai figli la spinta al distacco, affinché a loro volta possono ripercorrere una nuova via che li condurrà al rinnovarsi e al ricrearsi di una nuova vita umana.
La figura del padre è stata poi messa alla porta anche come testimone della ferita
primogenita che ogni uomo porta dentro di sé. Infatti padre è colui che per primo di ogni altro dovrebbe insegnare al figlio l’esperienza della perdita, del dolore non come qualcosa di irreparabile che segnerà per sempre in modo negativo la sua vita, ma come esperienza strutturante, che fa parte di un normale travaglio interiore, che lo aiuta a crescere nella sua personalità e a diventare un uomo.
Il figlio che vive l’esperienza della perdita coma qualcosa di inaccettabile, non svilupperà una personalità adulta, responsabile ed autonoma, ma svilupperà una forma di dipendenza: alcol, droga, sesso, disturbo alimentare ecc.
La prima ed importante ferita che un padre infligge al figlio è quella di separarlo dal rapporto simbiotico che ha con la madre. Nessun rapporto fusionale come quello fra madre e figlio può sciogliersi in modo maturale. Occorre un intervento esterno che deve essere posto in essere dall’azione del padre. L’atto della separazione non può essere compiuto dalla madre, perché il ruolo naturale che essa svolge è quello dell’accoglienza, del perdono, del soddisfare i bisogni del figlio. Non si può chiedere alla madre di fare un mestiere che non è il suo, quindi non può compiere il gesto della separazione. I figli devono avere davanti a sé la figura di un padre presente che è primario nella loro crescita, altrimenti non sono capaci di riconoscere le loro origini e di conseguenza non sono in grado di andare da nessuna parte. Il sentire di non avere radici e di non appartenere a nessuno produce dentro i nostri figli il vuoto esistenziale. Padre è colui che mette in moto un processo generativo sia dal punto di vista pratico che spirituale.
Il padre deve essere vissuto come rifugio, come colui nel quale riconosco le mie origini,
perché è la prima ed essenziale figura di appartenenza, nella quale il figlio deve identificarsi. Nella società moderna sia il ruolo dinamico, che il padre deve rappresentare per iniziare il figlio alla vita adulta, sia il ruolo protettivo sono quasi del tutto scomparsi. La funzione dinamica dell’essere padre si è persa , perché l’adolescenza sembra non finire mai, la funzione protettiva è stata del tutto assorbita dalla figura materna. L’esperienza di essere padre non viene più fatta e quindi non c’è più neanche la roccia su cui affondare le proprie radici e la propria identità. E’ stato statisticamente provato che la patologia clinico psicologica più presente nella società occidentale è la nevrosi ossessiva.
Patologia che come sappiamo ci porta ad organizzare la nostra vita in modo totalmente difensivo, per proteggerci dall’atro come possibile fonte di sofferenza e di dolore che non siamo in grado di sopportare. Questa fragilità strutturale interiore causata dall’assenza del padre, anche se non è dimostrata la connessione causa effetto, dal punto di vista fenomenologico ci induce a pensare che i figli senza padre vanno incontro ad un rischio molto più elevato di vivere un’esistenza di infelicità e di sviluppare una dipendenza. La dipendenza limita la libertà dell’uomo. Dipendenza vuol dire perdersi nella materia.
Dalla dipendenza o dalla malattia mentale si può uscire sperimentando un cammino di vita comunitaria che ci faccia riscoprire il fascino e la bellezza di una dimensione spirituale o quando all’interno di un percorso terapeutico riabilitativo la persona fa un’esperienza di riscoperta e affermazione del suo io, altrimenti e soltanto adattamento.
Spesso si rimane nella dipendenza per tutta la vita, perché non c’è una figura paterna che ci separa dalla madre. Un figlio che accetta la volontà del padre sperimenta una condizione di vita attiva, di autonomia e di libertà, al contrario di ciò che spesso siamo erroneamente portati a pensare. Oggi accade spesso che un padre non riesce ad essere padre, perché non ha fatto l’esperienza di essere figlio. Non è possibile trasmettere ad un altro qualcosa che non è stato vissuto come esperienza in prima persona. Gli uomini oggi stanno cercando una nuova identità. Infatti, in relazione alla mia esperienza di psicoterapeuta, posso affermare che una volta gli uomini andavano in psicanalisi per elaborare la sofferenza della separazione, del divorzio o semplicemente perché glielo diceva la moglie, oggi ci vanno per ritrovare la loro identità perduta.
Un padre per essere vero deve essere strutturante per la personalità del figlio. Nel rapporto padre e figlio è fondamentale l’esperienza della libertà che nasce come proposta educativa concreta nel percepire e trasmettere una corretta visione del mondo. Un padre non può sapere a priori se la proposta che fa a suo figlio è giusta, ma nell’atto della proposta costituisce uno spazio di libertà al dialogo, al confronto, all’essere presente e non assente. Anche la possibilità che il figlio non accetti la proposta va bene, perché si sviluppa una distanza dove può nascere la sua libertà.
Un padre che impone la regola vuol dire che ama suo figlio e che è presente; se il figlio tende a ribellarsi alla norma va bene lo stesso, perché anche in questo caso si crea un rapporto di contrasto che produce separazione e che fa sorgere la sua libertà. I nemici del padre sono tutti coloro che minimizzano e che ci rassicurano sul fatto che non c’è nulla di male in tutto ciò che sta accadendo. I nemici del padre sono coloro che sostengono l’idea che il divorzio non fa male ai figli.

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